lunedì 3 agosto 2015

Building Information Modeling

Con il presente desidero condividere con Voi un mio recente articolo riguardo il BIM, pubblicato sulla rivista del collegio dei geometri di Trento e Bolzano "Prospettive Geometri - Perspektiven Geometer 2-2015" (pagg. 28-29-30). Buona lettura!

L’urbanizzazione, la ormai scarsa disponibilità di risorse naturali, la competitività del mercato globale, la complessità dei progetti e le nuove tecnologie sono le principali tendenze che continuano a guidare il cambiamento e le opportunità nel settore delle costruzioni. Oltre il 50% della popolazione mondiale vive in città e si stima che nel 2030 cinque miliardi di persone vivranno in aree urbane. In pochi decenni il mondo avrà bisogno di sostenere una popolazione di circa 9 miliardi di persone. Il mercato oggi è fortemente competitivo, le aziende si trovano ad affrontare intensi livelli di concorrenza mentre le aspettative dei clienti sono sempre più alte. Inoltre la complessità dei progetti aumenta e sono sempre di più gli attori coinvolti in ogni fase progettuale da coordinare ed informare.  Se a tutto questo si aggiunge l'esplosione delle nuove tecnologie, tra cui il cloud computing e l'accesso mobile, diventa sempre più evidente la necessità di dover cambiare modo di lavorare. Passare al Building Information Modeling (BIM) può radicalmente migliorare il nostro modo di pianificare, progettare, costruire e gestire i progetti di costruzione, delle infrastrutture, di utilità o di risorse naturali. “Con il BIM i costi di costruzione in Italia possono scendere del 30% grazie alla drastica riduzione degli errori progettuali e di gestione del cantiere” dice Lorenzo Bellicini, direttore generale del Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l'Edilizia e il Territorio. Ma cos’è il BIM? Il BIM è un processo, basato su modelli tridimensionali parametrici intelligenti, che fornisce valore attraverso il ciclo di vita di un progetto. Qualsiasi tipo di progetto. Un errore comune è quello di affiancare il concetto di BIM ad un modello 3D sterile, vuoto, senza alcun tipo di informazione, dal quale ricavare rendering e fotoinserimenti. Creare un modello tridimensionale del manufatto è condizione necessaria ma non sufficiente, sebbene porti con se numerosi benefici come la revisione istantanea, giusto per citarne uno, intesa come la capacità di propagare istantaneamente le modifiche eseguite sul modello in tutte le viste. Pensate ad un progetto tradizionale bidimensionale composto da piante, prospetti e sezioni. Alla variazione di un elemento si renderà necessaria la ricerca manuale degli elaborati nei quali questo è rappresentato e sempre manualmente recepire la modifica, con il persistente dubbio di aver corretto, ovunque nel progetto, tale situazione. Con la revisione istantanea questo non è più necessario. Editando l’elemento si ha la certezza matematica che tale entità verrà ricollocata o modificata in ogni vista in cui esso è presente. Occorre però ragionare aldilà della semplice rappresentazione grafica. Ciò che serve ad un modello tridimensionale per essere un Building Information Model è proprio l’informazione “non-grafica” come ad esempio la categoria degli elementi, le relazioni tra le entità, le proprietà fisiche e termiche dei materiali, le fasi di lavoro e tante altre. Modelli senzienti dotati della consapevolezza che un elemento non sia una banale linea o un semplice parallelepipedo bensì un muro, con la sua stratificazione, massa termica e resistenza al fuoco, oppure un pilastro o una trave con il giusto materiale strutturale associato, peso, momento di inerzia, modulo di elasticità, e così via.

Tradizionalmente il progetto veniva redatto su carta con matita o penne a china. Successivamente, con l’avvento del CAD, il metodo di lavoro ha subito una energica accelerazione sebbene resti concettualmente analogo dato che una linea al CAD è assolutamente identica ad una linea su carta, anche se nel rappresentarla ci si impiega meno tempo e si è notevolmente più precisi. Purtroppo però, oggi come ieri, gli elaborati grafici sono slegati da tutte le altre informazioni progettuali quali computi, analisi statiche ed energetiche, cronoprogrammi, e via discorrendo. Diventa evidente che il consueto e odierno metodo di lavoro mal si sposa con i concetti innovativi sopra descritti, ma purtroppo in questo caso il passaggio tra tradizione e innovazione è molto più netto. Le informazioni progettuali di cui sopra non sono più separate ma risiedono nella stessa banca dati. “Ovviamente questo approccio innovativo basato sul BIM richiede una revisione di quello che è il processo edilizio nel suo insieme, dalla progettazione, alla costruzione, alla gestione e manutenzione, all’eventuale demolizione e recupero di materiali. Alla luce di quanto detto si intuisce quindi che non è sufficiente acquistare un software ed imparare ad utilizzarlo ma bisogna cambiare il modo in cui si lavora e si collabora con le figure preposte alla progettazione.” dice Anna Osello, docente titolare della cattedra di modellazione digitale parametrica del Politecnico di Torino. Il concetto è chiaramente espresso nella curva di MacLeamy (figura 1), presentata alla conferenza AIA del 2005. Il grafico mostra una curva a campana relativa al processo di progettazione tradizionale con il picco di sforzi e risorse al centro della fase di documentazione e costruzione e illustra come il BIM sposti lo stesso picco alla fine della fase di progettazione preliminare, con la ovvia conseguenza di avere modifiche di progettazione più semplici, più efficaci e meno costose. Questo richiede che progettisti, strutturisti e impiantisti, nonché impresari vengano invitati a partecipare al lavoro di squadra sin dalle prime fasi di progettazione.


Si parla di innovazione ma in realtà l’adozione del BIM ha subito un incremento significativo già nella prima decade degli anni 2000, dovuto alla crescita economica di alcune realtà, alle politiche interne e a progetti di grande rilievo, oltre agli sviluppi informatici. Nato negli Stati Uniti nei primi anni 2000 con l’attuazione degli standard NBIMS sviluppati in collaborazione con BuildingSMART Alliance, si è diffuso rapidamente in Australia, Brasile e estremo oriente (Giappone, Singapore, Corea del Sud). In Europa non tutti i paesi sono particolarmente sviluppati. I precursori sono stati i paesi scandinavi, i primi nell’utilizzare lo standard IFC per la gestione del ciclo di vita degli edifici statali ed i primi nel richiedere dal 2007 il BIM negli appalti di opere pubbliche, seguiti a stretto giro dal Regno Unito, il quale richiederà obbligatoriamente il BIM nei progetti di opere pubbliche dal 2016, dalla Francia e dalla Germania. Uno studio McGraw-Hill illustra come dal 2013 al 2015 siano quasi raddoppiate le imprese che hanno deciso di adottare il BIM. Brasile, Francia, Germania e Regno Unito sono passate da circa il 30% a più del 70% (figura 2), mentre in Europa meridionale il 60% ancora non utilizza il BIM.


“L’Italia è ancora indietro - dice Anna Osello - anche se con il progetto INNOVANCE finanziato dal ministero dello sviluppo economico grandi passi avanti sono stati fatti recentemente”. Tuttavia il nostro Paese non ha ancora recepito la direttiva Euppd (European Union Public Procurement Directive) del gennaio 2014 e adottata dal Parlamento europeo, che invita i 28 Stati membri, di qui al 2016, a incoraggiare l'uso del Bim rendendolo obbligatorio, in qualità di standard di riferimento, nell'ambito dei progetti a finanziamento pubblico. Stando a una stima della Commissione europea l'uso della metodologia nella sola edilizia pubblica consentirebbe risparmi fra il 5% e il 20%, quantificabili fra i 100 e i 400 miliardi di euro all'anno. In Italia sono solo un paio i bandi di gara in cui il Bim si candida a fare la parte del leone: quello per il restauro del Teatro Lirico a Milano (figura 3) e quello per la riqualificazione integrata dell'Ospedale di Cattinara a Trieste.